In Italia la decarbonizzazione non può passare dal gas come fonte di transizione in sostituzione del carbone: è un “compromesso” che non fa bene né all’ambiente né alla salute del Pianeta.
Il progetto di A2A per la centrale a carbone di Monfalcone, invece, viaggia imperterrito sul binario obsoleto e pericoloso dei combustibili fossili, con il plauso di organizzazioni sindacali, industriali e politici di vari schieramenti. Non è chiaro l’atteggiamento del Comune di Monfalcone e non è pervenuto il parere della Regione.
Questo il quadro poco rassicurante e focalizzato più a mantenere a qualsiasi costo una produzione di energia sul territorio che a considerare e studiare nuovi sviluppi e opportunità per l’area dove attualmente si trova la centrale.
Diciamo subito che la trovata dell’Idrogeno sembra più una sorta di cavallo di Troia per calare su Monfalcone una megacentrale da 850 MW a gas naturale da far operare a pieno regime per ammortizzarne il costo il prima possibile.
Negli ultimi due decenni la realizzazione di molte nuove centrali elettriche a metano ha provocato una situazione di sovrabbondanza di potenza di generazione: oggi, infatti, il parco impianti esistente ammonta a 115.000 MW di potenza installata, quasi il doppio rispetto alla domanda massima sulla rete (58.219 MW nel luglio 2019, fonte Terna). Più che realizzare nuovi impianti, basterebbe aumentare le ore medie annue di esercizio delle centrali a gas esistenti passando da 3.261 a 4.000 ore medie annue. Uno scenario però poco auspicabile per Legambiente perché, se da una parte permetterebbe di compensare la mancata produzione di energia elettrica generata dal carbone, dall’altra richiederebbe un aumento dei consumi di metano, che ha un impatto sull’effetto serra a livello mondiale molto simile al carbone.
E allora bisogna necessariamente allargare lo sguardo ed ampliare il ragionamento relativo alla produzione di energia rinnovabile su un piano almeno nazionale. Questo potrebbe consentire di individuare luoghi e tecnologie adatti a garantire lo sviluppo di produzioni di energia rinnovabile da FV, da eolico, biomassa, con accumuli da pompaggi da idroelettrico (in parte già esistenti ma sottoutilizzati per ragioni di mercato) e storage elettrochimico per mantenere in equilibrio la rete.
Diciamo anche che Legambiente valuta positivamente l’utilizzo futuro dell’idrogeno come vettore energetico ma, e questo è il punto, solo se prodotto con il contributo di energia rinnovabile, altrimenti il saldo ambientale, soprattutto in termini di emissioni di CO2, è assolutamente negativo.
Affermiamo con decisione che il nostro Paese e la Regione FVG devono investire urgentemente e seriamente sulle fonti rinnovabili, a partire da solare, biomasse ed eolico (quest’ultimo poco sfruttabile in FVG per la ventosità poco adatta), su efficientamento energetico, accumuli e innovazione delle filiere produttive (economia circolare).
A questo punto, vista la ostinazione di A2A a non accantonare definitivamente il ricorso ai combustibili fossili e a non allinearsi agli orientamenti, che provengono dall’Unione europea relativamente alle strategie di decarbonizzazione della produzione di energia e alla destinazione dei fondi europei (Next Generation EU), le amministrazioni, comunale e soprattutto regionale, dovrebbero recuperare protagonismo in questa penosa vicenda, verificando se A2A può essere ancora considerata un’azienda in grado di offrire risposte per l’economia e soprattutto per la sostenibilità ambientale.